L’Italia ha un problema di competenze, che ostacola la ripresa. Questo problema è cresciuto nel tempo e ha trovato risposte inadeguate nella lunga fase di difficoltà e stagnazione che tra il 2009 e il 2019 rappresenta un “decennio perduto” dell’economia italiana che ha avuto significative ripercussioni sulla società e sull’occupazione.
In questi anni il nostro Paese è diventato più debole anche perché i lavoratori hanno diminuito il proprio saper fare e quindi il livello di autonomia e di capacità d’agire rispetto ai cambiamenti dell’economia e della domanda di lavoro.
Il deficit di competenze è un problema trasversale: riguarda i giovani presenti nel sistema scolastico e formativo, i disoccupati coinvolti nelle politiche attive e i lavoratori.
Solo da qualche tempo, soprattutto grazie alla spinta avviata con le riforme previste dai decreti del 2015, si è avviato un lento cambio di passo, ma la capacità di spesa è rimasta in parte inadeguata e alcune riforme vanno completate, così da rendere più incisivo un intervento che deve essere necessariamente sistematico e riguardare le diverse condizioni della cittadinanza.
La spinta derivante dal Recovery Plan può essere significativa solo se a questo intervento finanziario si collegano le corrispondenti misure di riforma, così da rendere la formazione e l’accesso alle competenze la chiave per la ripresa italiana.
Il tema dell’attivazione e della formazione sono fortemente connessi e queste riforme riguardano anche il mercato del lavoro. I problemi di lungo periodo vanno affrontati nella consapevolezza dei danni che derivano dall’aver mantenuto per un decennio scelte sbagliate e investimenti inadeguati.
Durante i lunghi anni della crisi economica in cui il nostro Paese si preoccupava dello “spread finanziario”, aumentava soprattutto con il resto dell’Europa la differenza, ovvero lo “spread”, in termini di competenze. È il caso di capire qual è l’origine del “problema delle competenze” che siamo chiamati ad affrontare, per poter meglio definire le soluzioni e valutare se con il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) ci siamo ricollocati sulla giusta strada.
La sfida del mismatch delle competenze, che da tempo attanaglia il nostro Paese, può essere vinta attraverso una azione comune che coinvolga i portatori di interesse presenti nel sistema; dalle regioni agli ordini professionali, dalle Università agli Enti formativi.
Diminuiti gli investimenti sulla formazione
Nel sistema della formazione negli ultimi anni gli investimenti pubblici sono crollati del 35%.
Non si è trattato di una corretta “razionalizzazione della spesa”, in quanto l’entità e le modalità con cui si sono ridotte le spese nel sistema formativo fanno più pensare a una azione di ridimensionamento dell’intervento, avvenuta peraltro proprio nell’avvio di una fase in cui i cambiamenti dell’economia e della domanda di lavoro necessitavano di investimenti adeguati e corrispondenti nel sistema formativo.
La spesa per la formazione è passata dallo 0,18 del Pil del 2008 allo 0,12 del 2019. È un dato inferiore a quanto viene speso in Germania (0,18) e soprattutto in Francia (0,25), nazioni che per la formazione spendono circa il doppio dell’Italia.
Se passiamo alla spesa per la formazione per la persona in cerca di lavoro il dato è ancora peggiore: siamo passati dai quasi 1.800 euro pro capite spesi nel 2008 ai 700 euro spesi nel 2019. Un crollo dell’investimento che non c’è stato in Germania, che ha invece aumentato la spesa passando dai 2.500 euro del 2008 ai 4.000 del 2019, mentre la Francia ha una spesa stabile intorno ai 2.200 euro.
Questo dato ci offre una chiara informazione: mentre in Italia crollava l’occupazione si è deciso di non formare i disoccupati. Al contrario in Germania l’occupazione, dopo la crisi del 2009-2011, si è ripresa grazie al fatto che hanno raddoppiato gli investimenti in formazione.
Un’altra informazione che ci arriva da questi numeri riguarda le politiche attive, che in Italia sono cresciute per via dell’aumento degli incentivi all’assunzione e non per l’aumento della formazione dei disoccupati.
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